Slider
Image

A "Vulata"

Ci fu un tempo durante il quale il Mediterraneo fu sotto scacco degli ottomani. Anche la nostra costa e, quindi, anche San Lucido, furono facili preda dei feroci saraceni che distrussero, saccheggiarono e fecero schiavi molti abitanti.

Erano i secoli bui del medioevo e i centri costieri si desertificarono, riducendosi spesso a piccoli villaggi di pescatori.

Sostanzialmente a due passi dagli altri borghi del tirreno, la vicina Amantea per quarantacinque anni, dall’840 all’885 circa, fu insieme a Tropea e Santa Severina sede di emirato, rappresentando un vero e proprio insediamento delle incursioni turchesche.

Sebbene,  l’imperatore Basilio incaricò il valoroso generale bizantino, Niceforo Foca, a scacciare gli Arabi da questi luoghi, le incursioni continuarono anche nei secoli successivi, tanto che già a partire da 1057, per difendere il territorio dalle scorrerie dei Saraceni, il vescovato di Cosenza, a cui era stata concessa la Terra di San Lucido da parte del grande condottiere normanno, Roberto il Guiscardo, fece costruire una Rocca ed il castello, munendolo di poderose opere di difesa e di un alto fossato. La gigantesca opera venne completata il 28 agosto 1093. Tuttavia, questa grande opera, realizzata con il denaro dei sanlucidani, come pure il fortino “Santa Croce”, fatto edificare qualche secolo dopo da Pietro di Toledo, viceré di Napoli, non riuscì a contenere la forza brutale dei corsari saraceni.

Nel mese di luglio del 1534, ad opera di Khayr al-Din Barbarossa e sempre nel mese di luglio, ma del 1555, ad opera di Dragut Rais, furono sferrati due terribili attacchi che distrussero e incendiarono la rocca; in entrambe le incursioni furono rapite molte fanciulle e fatti prigionieri tutti i giovani, portati via come schiavi.

 

                   Questa è la storia e da questo punto parte la leggenda.

 

La tradizione orale racconta che i sanlucidani, scossi da questi terribili avvenimenti, per esorcizzarli iniziarono ad usare sempre più spesso l’esclamazione “MAMMA, SU ARRIVATI LI TURCHI ALLA MARINA” che, appunto, indicava il timore di fatti o avvenimenti dei quali avere un certo timore.

Nel tempo, ai racconti e alle semplici esclamazioni come, appunto, mamma li turchi, si andavano a costituire piccoli gruppi di giovani che, per divertimento, ricreavano quegli avvenimenti in un modo umoristico, attraverso la colorazione dei corpi con l’utilizzo delle more di gelso nero che, in buon numero, insistevano anche in alcuni tratti a ridosso della spiaggia.

Il colore scuro della pelle segnava i “cattivi”, ovvero i mori, mentre il resto dei ragazzi interpretavano gli oppositori, ovvero i sanlucidani che li combattevano.  Queste “rappresentazioni” si concretizzavano in spiritose mischie, durante le quali si faceva uso di improvvisate sciabole e spade, che si concludevano con un bagno in mare, durante il quale, per effetto del lavaggio del colore delle more sulla pelle, si tingevano di rosso le acque, simulando il sangue versato a causa di quelle martoriate incursioni.

Queste sono le origini di quell’evento che oggi è definito la “vulata”, e che consiste in una manifestazione o un rito, come qualcuno ama chiamarlo, che ogni 21 luglio si ripete sulle nostre spiagge. Una data che coincide con l’inizio del periodo più caldo dell’anno, ovvero quello del solleone, e che in tempi più recenti si è prestata a motivare l’usanza di fare il bagno a mare vestiti a causa del grande caldo che crea nelle persone un’irresistibile frenesia.  

We use cookies

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.